L'antigastronomo

Mi chiedo se…

Speriamo che i ragazzi stiano facendo i bravi.

I ragazzi sono in giro.

Sono due scritte che una volta si vedevano spesso graffite sui muri.

Mi piacciono entrambe. C’è un che di latitanza infelice, di vita che si sta perdendo perché costretta dalla lontananza che il viaggio continuamente rinnova, un sentimento della distanza che tuttavia nutre un desiderio di esserci, di partecipazione impossibile.

Mi sembrano riflessioni contrarie e uguali a un’altra colta al volo in un film americano, il commento di un anziano residente in un grigio paesino della provincia statunitense, che alla vista di un giovane medico, bello, ricco, scapolo e solo di passaggio, esclama: Cosa non darei per essere un giovanotto in viaggio!

E ancora, un’integrazione a Gesù vive, altro slogan che si leggeva ricorrentemente sui muri: Oudinì è morto e Gesù è vivo. Ma vi pare giusto?

Altra, in risposta alla diffusissima Dio c’è: Quale?

Mi dicono che sono messaggi criptati in uso fra spacciatori e utilizzatori di droghe.

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Nel film “Tarzan il magnifico”, dove uno dei primi inespressivi anabolizzati, il culturista anni sessanta Gordon Scott, diceva:

La palude coprirà le nostre tracce. 

Non lasciate indietro nulla che ci tradisca.

Pensavo alla scrittura, al lavoro che ogni buon autore svolge operando sulle personali suggestioni di lettura e sugli imprestiti da altri autori, alle cancellazioni operate, alle autocensure, alle varianti che continuano a vivere per tutto il tempo di avvicinamento alla versione definitiva del testo. Tutto materiale di risulta, come quello che si accumula fuori da un cantiere edile e che sta lì a testimoniare del percorso seguito, del lavoro fatto prima di arrivare all’opera compiuta, all’ultima versione che lo scrivente si vedrà costretto a licenziare come definitiva. 

Tutto il resto dovrà essere “smaltito”, fatto scomparire. Qualche curioso potrebbe rovistare fra i calcinacci, le assi incrostate di calcina, i ferri rugginosi e riconoscere, magari farsi un’idea del progetto, del laboratorio che c’era (e alla fine è necessario rimanga) dietro quell’ultima stesura. 

Cosa meglio allora di una palude per disperdere, cancellare le tracce del percorso seguito? Perché è vero: la preoccupazione dell’autore è non lasciare indietro niente che lo tradisca.

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Dicevano gli antichi: Privatio presupponit habitum

Spesso un’abitudine è una risposta comportamentale a un divieto interiore, a un impedimento consapevolmente vissuto come una privazione. D’altra parte, la condizione di santità di alcuni rari individui se non presuppone in loro l’intima coscienza d’essere dei grandi peccatori, testimonia certo l’assoluta attrazione che sentono verso quello che condannano come un peccato. 

In altre parole, il grado di santità è direttamente proporzionale alla severità della punizione che costoro s’infliggono (e infliggono al prossimo) per le loro cattive inclinazioni a peccare. Perciò, quanto più intensa è l’attrazione che sentono verso il peccato, tanto maggiore sarà la santa costumatezza su cui impronteranno le loro azioni. 

Ecco allora, che dietro un eccesso comportamentale di una persona è legittimo sospettare una privazione, un divieto o una censura a cui lo sventurato reagisce con altrettanto vigore.

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Prima di addormentarmi recito sempre un verbo all’infinito: morire. 

Mi chiedo se c’è un corso migliore di abilitazione all’invecchiamento.

Giuseppe Lo Russo |