L'antigastronomo

Di fame e di sesso

Desiderare, voce dotta, significa “smettere di contemplare le stelle a scopo augurale”, quindi bramare. Il desiderio è un sentimento di mancanza, di privazione di ciò che dà piacere, che è buono, necessario e insieme un moto dell’anima, una tensione ad ottenerne il godimento, il possesso. Bene, ma ci siamo mai chiesti se siamo noi padroni dei desideri o ne siamo posseduti?

In una canzone di Silvio Rodriguez, il grande cantautore cubano, si dice che è una strana faccenda questa in cui finanche il desiderio è un consumo. È evidente che l’autore si riferisce a una società dove tutto è diventato oggetto di consumo. Anche, e direi soprattutto, i desideri. Anzi è proprio sui desideri indotti che si è costruita la “società dei consumi”, espressione che oggi, in un regime di mercato globale delle merci, suona un po’ retrò, giacché il passaggio da cittadini a consumatori è cominciato, partendo dagli USA, già nel primo ventennio del secolo scorso.

A manipolare e indirizzare per primo i desideri delle masse fu un nipotino di Sigmund Freud, Edward Bernays, inventore delle pubbliche relazioni, dell’ingegneria del consenso e infine della società dei consumi.
Bernays fu fra i primi a utilizzare la psicologia del subconscio al fine di manipolare l’opinione pubblica. A lui si devono le locuzioni “mente collettiva” e “fabbrica del consenso”. Per dire.

Fin qui ci si potrà rimproverare di trattare il tema sotto un aspetto sociologico o socioeconomico. Ma Bernays ci porta a guardare più nel profondo ai due desideri fondamentali, di cui sentiamo la necessità e che procurano piacere: quello nutritivo e quello sessuale.

Del resto, il nostro primo autore di letteratura gastronomica, il milanese Giovanni Raiberti, nel 1850 ringraziava la provvidenza che per lo stimolo dei supremi piaceri ci porta a soddisfare i supremi bisogni. Mentre, prima ancora, nel 1826, Anthelme Brillat-Savarin – ancora lui! – nelle sue meditazioni di gastronomia trascendente, scriveva: Nel buongustaio si alternano: il fuoco del desiderio, l’estasi del godimento, il perfetto riposo della beatitudine. E non accade forse lo stesso per l’atto sessuale?
Eppure, ancora si discute se la fame venga prima dell’istinto sessuale o amoroso in genere.

In proposito Filippo Lippi, pittore fiorentino del Seicento, nel suo poema eroicomico Il Malmantile riacquistato così la pensava:

Omnia vincit Amor, dice un testo;
e un altro disse, e diede più nel segno:
Fames Amorem superat; e questo
è certo, e approva ognun c’ha un po’ d’ingegno;
perché, quantunque Amor sia sì molesto,
che tutt’i martorelli del suo regno
dicano ognora: ahi lasso! io moro, io pèro;
e’ non si trova mai che ciò sia vero.

Non ha che far nïente colla Fame,
che fa da vero, purch’ella ci arrivi;
posson gli amanti star senza le dame
i mesi e gli anni, e mantenersi vivi;
ma se due dì del consueto strame
i poveracci mai rimangon privi,
e’ basta; ché de fatto andar gli vedi
a porre il capo dove il nonno ha i piedi.

Talché si vien da questi effetti in chiaro,
che d’Amore la Fame è più potente;
ond’è che ognun di lui più questa ha caro,
e quando alle sue ore ei non la sente,
lamentasi, e gli pare ostico e amaro.
Perciò riceve torto dalla gente,
mentre ciascun la cerca e la desia,
e s’ella viene, vuol mandarla via.

Altra prova di quanto “[…] d’amore la fame è più potente”, è il notissimo film di Mario Mattoli “Miseria e nobiltà”, tratto da una commedia di Edoardo Scarpetta, dove, significativamente, un affamato Totò invita il marchesino a sposare piuttosto il cuoco che la sua figliola, nella persona di una prorompente Sofia Loren.

Ma tornando seri, andiamo al concetto di libido esposto per la prima volta nel 1905 da Freud nei Tre saggi sulla teoria della sessualità, dove si teorizza la pulsione sessuale come primum movens dell’esistenza individuale. Va detto che solo in seguito la libido freudiana dal sesso verrà allargata a soddisfare anche le altre cosiddette “pulsioni parziali di base” come il cibo, la sopravvivenza, la religione e l’arte.

Tuttavia, all’interpretazione freudiana dobbiamo contrapporre l’originale teoria gnoseologica elaborata da Ramon Turrò, biologo e filosofo spagnolo, che nel 1911 pubblica La fame. Origine della conoscenza. Qui a muoverci per prima non è il sesso ma la sensibilità o istinto trofico, in una parola: la fame.

La teoria di Turrò fu ripresa e portata avanti dallo studioso Gino Raya, fiero polemista e letterato siciliano, nel suo libro La Fame. Raya fa della fame, della cosiddetta “esperienza trofica”, fenomeno puramente biologico, il fondamento della nostra vita intellettiva e infine la creatrice stessa della conoscenza, dunque non cogito ergo sum, ma esurio ergo sum (ho fame dunque sono); laddove il mangiare diventerebbe il principale strumento conoscitivo, e infine: edo ergo intelligo (mangio dunque comprendo). Del resto, Adamo ed Eva vengono a conoscenza del male e del bene per aver ceduto al desiderio di addentare una mela, dove la mela è malum, e il sapere è sapore.

Nel pensiero “famista” di Raya, dove la centralità del ruolo assegnato al sesso nella teoria freudiana viene assunta dalla fame, esiste poi un passaggio evolutivo dalla fisiologia verso la psicologia, dalla fame all’appetito, dalla sensibilità trofica a quella gastronomica.

Seppure, come si dice popolarmente, è il ventre a far muovere i piedi, e non i piedi il ventre, in via conciliativa potremmo dire, con il già citato Turrò, che mentre la fame è propria dell’individuo, la libido (il desiderio sessuale) è la fame della specie. O alla fine sostenere che il substrato dell’emozione si è sviluppato filogeneticamente attraverso gli impulsi alimentari e sessuali, poiché in entrambi odorato e gusto giocano un ruolo fondamentale e primario.

In altre parole, le esperienze gustative e olfattive, comuni al sesso e alla nutrizione, sono i primi gradini da cui si sono evolute le emozioni superiori più “sofisticate”. Tutte le emozioni umane sarebbero dunque il risultato di uno sviluppo evolutivo di processi fisiologici primari: sesso e nutrizione. E così sia.

Giuseppe Lo Russo |

1 comment

  1. Scrivi sempre molto bene!! Ho appena letto questo pezzo con grande piacere. Molto erudito ma portato con relativa leggerezza. Dico relativa perché qualche lettore odierno potrebbe alzare bandiera bianca alla prima citazione Latina più per principio che altro.